Gianni Dal Moro: l’area metropolitana è l’ultima chance per non retrocedere nell’oblio

Pubblicato da il 28 Agosto 2020

Già nel 2009 e poi nel 2013 presentai un emendamento per far diventare Verona Città Metropolitana. Impegno che all’inizio fu sottovalutato dalla città e dalle sue istituzioni. Oggi a distanza di alcuni anni sento crescere per la prima volta nella città un clima più favorevole e le interviste rilasciate al vostro quotidiano da parte del Senatore Danieli e da parte della dott.ssa Morgante aprono uno spazio di speranza. Mi inserisco in punta di piedi in questa discussione per ricordare il mio punto di vista: Verona da sempre nella storia è stata in competizione con Venezia. Lo storico aretino Vasari per difendere il primato di Firenze aveva ben capito che c’era bisogno di un bilanciamento, quasi di una simmetria nel cuore della Val Padana e per fortuna, a suo dire, a contenere o almeno in parte a contraddire l’egemonia veneziana c’era Verona, nodo viario strategico al centro della Val Padana, accesso privilegiato all’Europa Continentale attraverso la Valle dell’Adige.

A me interessa dimostrare che Verona da tempo è stata considerata unica nella Val Padana e che con Venezia, molte sono le differenze. Anche noi, parecchi secoli dopo, siamo in grado di comprendere perfettamente la differenza fra queste due città.

Basta un semplice confronto di un’efficacia didascalica quasi disarmante: la patriarcale Basilica di San Marco, a Venezia, con le sue cupole, le sue croci, i suoi fulgidi mosaici, fa pensare all’Oriente ortodosso o addirittura alla Russia di Kiev, prima che all’Italia ladina e romanza. Il duomo veneziano esprime, come meglio non si potrebbe, l’origine “altra” di questa parte della regione Veneto. È sufficiente spostarsi di un centinaio di chilometri ad ovest, a Verona, ed ecco le mastodontiche, bellissime chiese romaniche e gotiche di Verona: S. Fermo, S. Anastasia, S. Maria Matricolare (il Duomo) e S. Zeno, uno degli edifici sacri più maestosi e più affascinanti d’Europa. I rilievi scolpiti sulla facciata (XII secolo) e le famose porte bronzee (dai primissimi anni del XII sino alla fine del secolo) ci parlano di un’arte nuova, tutta occidentale e romanza. Come vede Verona e Venezia sono anche artisticamente e culturalmente lontane.

A partire dal Comitato regionale per la programmazione economica (1966-1970, prima ancora dell’istituzione delle Regioni), presieduto dal professor Innocenzo Gasparini, il punto di riferimento in termini di sviluppo adottato dai documenti e dalle politiche regionali, è stata una visione essenzialmente policentrica del Veneto, ogni città con le proprie caratteristiche e peculiarità. Ma è evidente dalla lettura dei vari documenti programmatici che Verona è sempre stata tenuta in secondo piano, rispetto alla parte orientale del Veneto, questo purtroppo anche durante la presidenza di Angelo Tomelleri.

Non per sollevare un’inutile polemica ma solo per esigenze di annotazione, è opportuno ricordare che la Regione, quando ha avanzato proposte programmatiche che riguardano Verona, è sempre stata piuttosto avara. Nei riferimenti a Venezia, Padova e Treviso, cui talvolta viene aggiunta Vicenza come appendice, si parla di un’area metropolitana, con una funzione complessa e di guida nella politica regionale. Quando invece si parla della politica di sviluppo veronese, la Regione si esprime, per lo più, solo in termini di opportunità. In tutta quella programmazione Verona rimane come ora rispetto al Veneto, una “città di frontiera” come recitavano i primi documenti regionali, o “città cerniera” come si disse successivamente: con queste definizioni la questione dei rapporti con i territori confinanti di altre regioni ha cominciato, un po’ alla volta, a porsi.

È bene che prendiamo coscienza del fatto di essere territorialmente marginali rispetto al Veneto, dalla qual cosa deriva anche una posizione di relativa autonomia dal disegno complessivo della Regione. Ciò significa affrontare il confronto tra la politica regionale e lo sviluppo del polo veronese in termini di massimo realismo. Se le considerazioni esposte contengono elementi di verità, discende che parlare in termini di programmazione dello sviluppo di Verona e di sviluppo del Veneto è quasi come far riferimento a due “vite parallele” o meglio a due “strade parallele” da percorrere.

Questo spiega perché Verona, oltre allo sbocco nell’Adriatico, da sempre persegua l’aggancio con la portualità del Tirreno (le conquiste di Cangrande erano giunte sino a Lucca), il potenziamento della linea del Brennero ed il traforo (dalla caduta dell’Impero Romano di Occidente la nostra città è sempre stata, sotto il profilo economico, culturale e strategico militare, la “grande porta” verso l’Italia del Mondo Germanico ed ancora oggi è il primo e più significativo “aggancio” che tiene gran parte della realtà italiana collegata all’area forte dell’Europa”).

Questo spiega perché, la saggezza e la lungimiranza dei nostri amministratori e dei nostri politici abbia pensato, sin dal primo dopo-guerra, a potenziare la Fiera, ad incrementare l’immagine dell’Ente Lirico – oggi Fondazione Arena -, alla realizzazione del Consorzio ZAI, alla difesa del Compartimento ferroviario, all’istituzione dell’Università, a strutture ospedaliere di prim’ordine, al Quadrante Europa, alla costruzione dell’aeroporto, al grande centro agroalimentare, alla solidità delle sue ex istituzioni finanziario-creditizie, ad una città solidale a misura d’uomo, come si diceva un tempo. La nostra posizione acentrica richiede, più che ad altre città, la capacità di intessere relazioni con realtà contermini. Quando parlo di relazioni intendo riferirmi all’impegno della classe dirigente cittadina (politici – imprenditori – operatori culturali – professionisti – lavoratori) di ripensare ad una “politica estera” per Verona. Oltre ai rapporti con istituzioni e mondi più lontani, riacquistare la capacità di promuovere un disegno ampio di sviluppo che coinvolga, che tenga conto delle esigenze delle città vicine rispetto alle loro esigenze in termini di infrastrutture, politiche economiche, politiche culturali, scolastiche, ecologia e ambiente, di formazione e ricerca, turistiche. In altre parole una classe politica che riscopra il valore delle “alte mediazioni”, nei fatti, cioè, capace di una progettualità idonea a candidarsi come sintesi e punto di riferimento di interessi e valori, anche diversi, ma condivisi da un vasto territorio.