Scuola e lotta alle dipendenze: Le inefficienze dei servizi sanitari di prevenzione non si scarichino sull’Istruzione

Pubblicato da il 17 Febbraio 2020

Tutti siamo contro l’uso droghe, tutti vogliamo che i nostri giovani se ne tengano alla larga e che le famiglie veronesi possano dormire sonni tranquilli.

Proprio per questo mettiamo in guardia da false speranze e da cattivi consiglieri: il drug test può essere uno strumento utile se usato all’interno di un ambiente clinico nell’ambito di un percorso di accompagnamento del giovane che presenti accertati problemi di dipendenze da sostanze.

Quando invece viene brandito nelle scuole allo scopo dichiarato di scovare presunti  ragazzi “problematici” secondo i dettami di un protocollo confuso e controverso, che alle verifiche effettuate presso le massime autorità scolastiche è risultato essere totalmente sconosciuto, inesistente, beh, in questo caso il drug test può produrre soltanto danni alla scuola e agli stessi ragazzi.

Il ricatto emotivo a cui vengono esposti studenti, famiglie ed insegnanti nei confronti delle autorità sanitarie “inquirenti” non crea le condizioni necessarie ad  esprimere un’adesione consapevole e volontaria, e non garantisce nemmeno l’ “assoluto anonimato” che la legge prescrivere per questo genere di analisi cliniche.

Per questo diciamo che la proposta del drug test di massa nelle scuole rappresenta una indebita e inaccettabile invasione di campo, destinata a minare il patto di fiducia tra studenti, famiglie e insegnanti che è alla base della missione educativa. Per dirla in parole povere: l’unico effetto ottenibile dal sedicente protocollo sarebbe quello di allontanare dalla scuola i cosiddetti ragazzi problematici.

Si può e si deve fare prevenzione con un servizio dedicato agli adolescenti e alle loro famiglie con un servizio come quello chisuo a Porto San Pancrazio dall’ULSS nel 2015.

La scuola è un’altra cosa, non è la succursale del Serd. Piuttosto, invitiamo i promotori di tale proposta, il dottor Serpelloni, messo temporaneamente fuori gioco dalla condanna in primo grado a sette anni di reclusione più interdizione dai pubblici uffici per una faccenda di concussione e turbativa d’asta, e la dottoressa Guadagnini, a fare una riflessione su come sono stati gestiti fino ad oggi i servizi di prevenzione dell’ex Ulss20, e a chiedersi  come mai vengono a cercare utenti dentro nelle scuole anziché occuparsi dei tanti che già frequentano i Serd.

Spieghino inoltre perché hanno inteso spacciare per “protocollo sanitario di prevenzione” quella che in realtà si rivela essere solo una semplice idea o tutt’al più una bozza o una proposta di protocollo. Si tratta di una azione a nostro avviso sconsiderata che ha messo in subbuglio la città, la quale solo ora si rende conto di aver discusso sul nulla. Lo stesso dirigente scolastico regionale è caduto nella trappola di commentare il sedicente protocollo con l’effetto di avvallare la credenza della sua esistenza.

Chiediamo che la congruenza di questi metodi, a nostro avviso spregiudicati e irresponsabili, venga accertata fino in fondo nelle sedi opportune e che si apra un serio confronto su quanto sta accadendo nei Centri di informazione e Consulenza attivi presso i maggiori istituti scolastici.

I moduli di adesione ai CIC richiesti dal Punto di Ascolto gestito dalla Guadagnini, sui quali sono raccolti i dati degli accessi degli studenti sarebbero irrispettosi del principio di anonimato previsto dalla legge. Per ottenere questa garanzia, a tutela dei ragazzi, delle famiglie e dei presidi, chiediamo che si torni a quello precedente.

 

Maurizio Facincani, Segretario Provinciale Pd Verona
Luisa Caregaro, Responsabile Sanità Pd Verona
Elisa La Paglia, Consigliera comunale Pd
Alessia Rotta, Deputata Pd
Vincenzo D’Arienzo, Senatore Pd