IL PUNTO DEL SEGRETARIO

Pubblicato da il 27 Marzo 2021

La Dad batte dove il Paese duole

 Gli errori ripetuti durante la pandemia ci fanno capire come il nostro sia un Paese da rivedere a fondo. Ci sono volute ben due sanguinose ondate, più un governo di unità nazionale, perché tutti, populisti compresi, accettassero almeno le misure di prevenzione. Inoltre, ad un anno di distanza dalla prima sperimentazione della Dad, la didattica a distanza, le criticità che frenano la partecipazione degli studenti alle lezioni online sono rimaste pressoché intatte. Resta alto cioè il numero delle famiglie che non dispone di un numero sufficiente di dispositivi, personal computer o tablet, necessario a mettere i figli nelle condizioni di seguire con profitto le lezioni a distanza (e i genitori lo smartworking).

Secondo un’indagine Istat del 2020 un terzo delle famiglie italiane è totalmente priva di personal computer o tablet.

E’ dunque benvenuta la meritoria iniziativa chiamata “Digitali e Uguali”, recentemente elogiata anche dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, partita da un gruppo di studenti bolognesi e da un imprenditore nel campo della moda, Federico Marchetti di Yoox Net-a-porter group con il sostegno del gruppo editoriale Gedi, che si propone di donare un dispositivo ad ogni bambino. Chi volesse contribuire può partecipare alla raccolta fondi collegata all’iniziativa.

Sbaglieremmo tuttavia a pensare che il problema della connessione e della carenza di dispositivi tecnologici riguardi soltanto sperduti e poveri paesini del Sud d’Italia. Il problema è accusato anche da insegnanti e presidi della ricca Val Seriana e in quasi tutte le scuole del Nord Italia, Veneto e Verona compresa, che pure presentano spesso una didattica all’avanguardia con insegnamento e sperimentazioni con sensori, nozioni di green economy, applicazioni di stampe tridimensionali.

Siamo difronte all’ennesimo mismatch italiano, alla mancata corrispondenza tra quello che serve realmente al Paese e ciò che offre il mercato interno, che finora ha spinto quasi esclusivamente tecnologie rivolte all’intrattenimento più che alla produttività, come tv digitale, consolle di gioco e soprattutto telefonini, una marea di telefonini che si sono rivelati inutili o quasi.

Ecco quindi che le famiglie sono dotate di abbonamento tv, playstation, domotica, telefonini ma vanno in crisi quando due dei suoi componenti sono contemporaneamente in Dad e in smartworking.

Si tratta di uno smacco per il Paese che già nel 2005, sette anni prima della più famosa inglese Raspberry, grazie ad un gruppo di ingegneri di Ivrea, prototipò una scheda hardware chiamata Arduino che rese accessibile il mondo dei micro-controllori a scuole, hobbisti e piccole imprese.

Istruttiva, si fa per dire, è anche la guerra legale che le grandi catene di elettronica stanno ancora facendo al Bonus Pc del precedente governo, dimensionato per dare una connessione e un dispositivo adeguato a 480 mila famiglie che ad oggi ne sono completamente sprovviste.

Ha dunque ragione da vendere chi dice che in tempi di Dad il pc e le connessioni devono essere accessibili e gratuiti al pari dei libri “analogici”, tuttavia non illudiamoci: questa è la punta dell’iceberg di una politica industriale ancora tutta da scrivere che necessariamente deve passare da una rivoluzione nella formazione, nei processi industriali e nella pubblica amministrazione, ma anche dal ribaltamento di un certa cultura che pretendeva di costruire una società di soli consumatori delegando tutta o quasi la produzione a Cina e India. Il rischio vero che ne deriva è l’aumento delle disuguaglianze, con la conseguenza che chi è già svantaggiato resterà ancora più indietro nella scala sociale.

Maurizio Facincani

Segretario Provinciale