IL PUNTO DEL SEGRETARIO
Arroganza e impreparazione bloccano lo sviluppo del nostro territorio
Peggio della figura meschina rimediata a Natale con la revoca della cittadinanza onoraria a Saviano, peggio del penoso flop al concorso nazionale Capitale della Cultura 2022 e dei zero punti racimolati a dicembre al concorso Italia City Branding 2020, di peggio c’è soltanto l’autocompiacimento con cui l’amministrazione comunale di Verona e la sua maggioranza rivendicano i propri errori e se ne beano.
Entrando nell’ultima fase del mandato amministrativo occorrerà cominciare a fare i conti di quanto le politiche incoerenti e improvvisate del centrodestra veronese, che governa il capoluogo ininterrottamente da ormai 15 anni, sono costate alla città e al territorio in termini di sprechi, opportunità mancate, mancato sviluppo.
A partire da una sistema di partecipazioni pubbliche mai razionalizzato, in cui le aziende sono state a lungo vampirizzate con il consenso di politici-manager per coprire i buchi del bilancio comunale (120 milioni di utili sottratti al gruppo Agsm solo tra il 2007 e il 2014 che potevano essere utilizzati per fare investimenti e far crescere l’azienda), talvolta diventando oggetto di mere partite di giro prive di logica industriale come nel caso della vendita ad Agec delle farmacie comunali (40 milioni di mutuo ancora in corso) o del balletto su Amia, prima conferita in Agsm per una trentina di milioni di euro e che oggi si vorrebbe scorporare spendendo altri 30 milioni di euro…
L’assenza di una politica territoriale, e della coscienza stessa del ruolo che potrebbe ricoprire Verona nel nord Italia e in Europa, è anche alla base del declino del nostro aeroporto, ma l’apice di questa carenza di visione è stato raggiunto con la mancata realizzazione della città metropolitana.
Nel dicembre del 2013, grazie ad un emendamento dei deputati veronesi Pd Dal Moro e Zardini, il governo aveva aperto alla possibilità di costituire un’area metropolitana attraverso l’unione di comuni capoluogo. C’era la possibilità di creare in Veneto un polo occidentale con Vicenza e Rovigo e baricentro a Verona che riequilibrasse lo storico strapotere del triangolo Padova-Venezia-Treviso.
La proposta, che si inseriva in un filone di studi sulle governance dello sviluppo delle autonomie locali fu però lasciata cadere dai federalisti nostrani che preferirono continuare con l’inconcludente politica degli “assi veneti” che a distanza di 7 anni ha portato a consegnare a Venezia l’aeroporto, la politica culturale e anche quella turistica.
Le opportunità perdute possono essere esattamente quantificate dal Decreto del Ministero dei Trasporti 171 del 2019 che ripartisce i fondi di progettazione per le opere definite “prioritarie”, assegnando 20,6 milioni di euro alle 14 Città metropolitane; 21,3 milioni di euro ai Comuni capoluogo di Città Metropolitane e solo 16,4 milioni per i restanti 37 Comuni capoluogo di Regione o di Provincia autonoma e i Comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti. Mantenendo il criterio dell’equa ripartizione, le 14 città metropolitane riceveranno circa 3 milioni di euro a testa mentre per le 37 città capoluogo verranno indicativamente destinati solamente 430 mila euro.
Verona può diventare la seconda città metropolitana del Veneto solo se saprà esprimere una classe dirigente all’altezza del compito, abbandonando posizioni sovraniste e smettendo di vedere nell’Unione Europea una matrigna avara; per essere una città competitiva deve saper mettere in campo un modello di sviluppo orientato all’innovazione, alla ricerca, alla valorizzazione dei giovani e delle tante eccellenze imprenditoriali locali, al loro sostegno con politiche includenti e aperte. Una sfida che deve cogliere soprattutto il Partito Democratico, ma anche tutto il centro sinistra veronese. Si va più lontano se si fa la strada tutti insieme.
Maurizio Facincani