D’Arienzo: sul caso della nave Acquarius e sui migranti sui barconi nel mediterraneo, per affrontare una discussione su un tema complesso come questo. è bene capire cosa prevedono le norme internazionali e interne sulla ricerca e il soccorso in mare di persone in pericolo di vita
- Le principali norme di diritto internazionale
Le norme internazionali sulla questione della ricerca e del salvataggio delle persone in pericolo in mare sono contenute:
- nella Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) stipulata a Montego Bay nel 1982 e recepita dall’Italia dalla legge n. 689 del 1994, che sancisce che ogni Stato contraente deve obbligare i comandanti delle navi che battono la propria bandiera nazionale a prestare assistenza ai naufraghi trovati in mare ovvero a portarsi immediatamente in soccorso di persone in pericolo quando si abbia notizia del loro bisogno di aiuto.
- La Convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare (SOLAS- Safety of Life at Sea, Londra, 1974 e ratificata dall’Italia con la legge n. 313 del 1980).
- Nella Convenzione di Amburgo del 1979 resa esecutiva dall’Italia con la legge n. 147 del 1989 e alla quale è stata data attuazione con il D.P.R. n. 662 del 1994, che ha individuato nel Ministero dei Trasporti l’Autorità nazionale responsabile dell’esecuzione della Convenzione e nel Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di porto, l’organismo nazionale che deve assicurare il coordinamento dei servizi di soccorso marittimo ed i contatti con gli altri Stati.
Da tutte queste Convenzioni emerge un obbligo di salvataggio in mare della vita umana che, derivante da una consuetudine marittima risalente nel tempo, è posto a fondamento di queste convenzioni internazionali e riguarda sia i comandanti delle navi sia gli stessi Stati contraenti. Rientra nell’obbligo di ricerca e soccorso in mare l’individuazione di un porto sicuro dove sbarcare le persone in pericolo di vita.
Sia la Convenzione UNCLOS (art. 98.1) che la Convenzione SOLAS (Cap. reg. 33), stabiliscono che il comandante di una nave ha l’obbligo di prestare soccorso a chiunque sia trovato in mare in pericolo di vita ed è, altresì, tenuto a procedere con tutta rapidità all’assistenza di persone in pericolo in mare, di cui abbia avuto informazione. Inoltre l’art. 98.2 della UNCLOS prevede l’obbligo, per gli Stati, di istituire e mantenere un adeguato ed effettivo servizio di ricerca e soccorso, relativo alla sicurezza in mare e, ove necessario, di sviluppare, in tale ambito, una cooperazione attraverso accordi regionali con gli Stati limitrofi, ponendo le basi per l’esecuzione di accordi multilaterali.
- La Convenzione di Amburgo e le Linee guida del 2004 sul trattamento delle persone soccorse in mare.
È soprattutto la Convenzione di Amburgo (detta anche Convenzione SAR) che stabilisce gli obblighi, le procedure e le modalità organizzative che gli Stati contraenti devono seguire per assicurare la ricerca e il soccorso in mare di persone in pericolo.
In particolare il punto 2.1.9. la Convenzione stabilisce che nel caso in cui le Parti contraenti vengano informate che una persona è in pericolo in mare, in una zona in cui una parte contraente assicura il coordinamento generale delle operazioni di ricerca e di salvataggio, le autorità responsabili di detta parte adottano immediatamente le misure necessarie per fornire tutta l’assistenza possibile.
La Convenzione SAR impone un preciso obbligo di soccorso e assistenza delle persone in mare ed il dovere di sbarcare i naufraghi in un luogo sicuro: in tale ottica, proprio per far fronte ai problemi legati all’ottenimento del consenso di uno Stato allo sbarco delle persone tratte in salvo, gli Stati membri dell’IMO (International Maritime Organization), nel 2004, hanno adottato emendamenti alle Convenzioni SOLAS e SAR, in base ai quali gli Stati parte devono coordinarsi e cooperare nelle operazioni di soccorso e di prendersi in carico i naufraghi individuando e fornendo al più presto, la disponibilità di un luogo di sicurezza (place of safety – POS) inteso come luogo in cui le operazioni di soccorso si intendono concluse e la sicurezza dei sopravvissuti garantita.
Le Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare, adottate nel 2004 dal Comitato Marittimo per la Sicurezza dell’IMO ai fini della corretta attuazione agli emendamenti in questione precisano che:
1) in ogni caso il primo centro di soccorso marittimo che venga a conoscenza di un caso di pericolo, anche se l’evento interessa l’area SAR di un altro Paese, deve adottare i primi atti necessari e continuare a coordinare i soccorsi fino a che l’autorità responsabile per quell’area non ne assuma il coordinamento;
2) lo Stato cui appartiene lo MRCC che per primo abbia ricevuto la notizia dell’evento o che comunque abbia assunto il coordinamento delle operazioni di soccorso, ha l’obbligo di individuare sul proprio territorio un luogo sicuro ove sbarcare le persone soccorse, qualora non vi sia la possibilità di raggiungere un accordo con uno Stato il cui territorio fosse eventualmente più prossimo alla zona dell’evento. Ciò indipendentemente da qualsiasi considerazione in merito al loro status.
- Le norme di diritto italiano
Le norme di diritto interno relative all’obbligo di soccorso in mare sono innanzitutto gli articoli 69, 70, 107 e 726 del codice di navigazione. L’art. 69 in particolare stabilisce che “l’autorità marittima, che abbia notizia di una nave in pericolo ovvero di un naufragio o di altro sinistro, deve immediatamente provvedere al soccorso e, quando non abbia a disposizione né possa procurarsi i mezzi necessari, deve darne avviso alle altre autorità che possano utilmente intervenire“.
Da tali previsioni derivano le sanzioni penali previste:
- dall’articolo 1113 del codice della navigazione che punisce per omissione di soccorso “chiunque, nelle condizioni previste negli articoli 70, 107, 726, richiesto dall’autorità competente, omette di cooperare con i mezzi dei quali dispone al soccorso di una nave, di un galleggiante, di un aeromobile o di una persona in pericolo ovvero all’estinzione di un incendio, è punito con la reclusione da uno a tre anni“;
- Dall’articolo 1158 sempre del codice della navigazione che punisce per omissione di assistenza a navi o persone in pericolo: “il comandante di nave, di galleggiante o di aeromobile nazionali o stranieri, che omette di prestare assistenza ovvero di tentare il salvataggio nei casi in cui ne ha l’obbligo a norma del presente codice“.
Vi sono poi i principi contenuti nella Costituzione italiana dai quali si deve far derivare un obbligo per la Repubblica di salvare vite umane in pericolo in mare. Innanzitutto l’articolo 2 Cost. che tutela i diritti inviolabili dell’uomo e tra questi ovviamente il diritto alla vita e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà.
I principi fondamentali contenuti nell’articolo 10 Cost. che impongono allo Stato italiano di conformare il proprio ordinamento alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute tra le quali vi sono ovviamente anche quelle riguardanti il salvataggio in mare dei naufraghi contenute nelle numerose convenzioni citate, nonché il principio di cui al comma terzo che riconosce il diritto d’asilo in Italia allo straniero al quale nel suo paese sia impedito l’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione repubblicana.
- La minaccia di chiusura dei porti italiani del Ministro degli Interni
La convenzione di Amburgo del 1979 prevede che gli sbarchi dei naufraghi soccorsi in mare debbano avvenire nel “porto sicuro” più vicino al luogo del soccorso. Questo significa che le persone tratte in salvo devono essere portate dove:
1) la sicurezza e la vita dei naufraghi non è più in pericolo;
2) le necessità primarie (cibo, alloggio e cure mediche) sono soddisfatte;
3) può essere organizzato il trasporto dei naufraghi verso una destinazione finale.
Sulla base della Convenzione di Amburgo corollario degli obblighi generali di soccorso alle persone in pericolo di perdersi in mare – per il cui assolvimento ogni Stato contraente deve assicurare l’organizzazione di un adeguato “servizio SAR” all’interno dell’area assegnata alla propria responsabilità, oltre a doversi far carico, a certe condizioni, quale primo soggetto investito della segnalazione, anche degli eventi che accadono al di fuori della propria area di responsabilità – prevede in capo all’Autorità nazionale che ha coordinato il soccorso anche il dovere accessorio di assicurare che lo sbarco dei naufraghi avvenga in un “luogo sicuro” (c.d. place of safety).
Particolare rilevanza assume, quindi, la problematica relativa all’individuazione del “luogo sicuro” dove far sbarcare i migranti/naufraghi, in quanto solo dal momento dell’arrivo in tale luogo cessano gli obblighi che il diritto internazionale pone in capo allo Stato.
Secondo la Convenzione di Amburgo ‘79, ma anche ai sensi della stessa Convenzione internazionale per la sicurezza della vita umana in mare (SOLAS ’74), per “luogo sicuro” deve intendersi semplicemente un luogo in cui sia assicurata la sicurezza, intesa come protezione fisica, delle persone soccorse in mare.
Ne consegue (e l’interpretazione è corroborata anche dalle “Guidelines on the treatment of person rescued at sea” oltyre che dai “Principles relating to administrative procedures for disembarking persons rescued at sea”, editi dall’IMO rispettivamente nel 2004 e nel 2009), che sullo Stato che coordina le operazioni SAR non insiste un immediato obbligo di accoglienza delle navi nei propri porti, bensì su di esso ricade comunque la responsabilità nella individuazione di un luogo di sbarco sicuro, raggiungibile quindi senza porre in pericolo le persone a bordo della nave.
È però altrettanto pacifico che tale “luogo”, qualora venga individuato in un porto di altro Stato, non può non scontare, in via preliminare, il consenso di quello Stato.
Laddove le persone soccorse in mare, oltre che “naufraghi” si qualifichino – in termini di status – anche come “migranti/rifugiati/richiedenti asilo”, soggetti quindi alle garanzie ed alle procedure di protezione internazionale, l’accezione del termine “sicuro” (riferita al luogo di sbarco) si connota anche di altri requisiti, legati alla necessità di non violare i diritti fondamentali delle persone, sanciti dalle norme internazionali sui diritti umani (Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali – Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status di rifugiati – Convenzione europea dei diritti dell’uomo), impedendo che avvengano “sbarchi” in luoghi “non sicuri”, che si tradurrebbero in aperte violazioni del principio di non-respingimento, del divieto di “espulsioni collettive” e, più in generale, pregiudizievoli dei diritti di “protezione internazionale” accordati ai rifugiati (in fatto e/o diritto) e richiedenti asilo.
In tale contesto, secondo i consolidati orientamenti della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, lo Stato che ha coordinato il soccorso dei migranti/naufraghi/rifugiati e deve – in base alle norme precitate – individuare il “luogo sicuro” di sbarco (sicuro per la protezione “fisica”, ma anche per quella “internazionale” delle persone soccorse) esercita sulle imbarcazioni con a bordo i migranti poteri giurisdizionali idonei ad incidere sul godimento effettivo di quei diritti da parte delle persone che sono a bordo e, quindi, più in generale, ha giurisdizione (ai sensi del diritto internazionale, con le connesse responsabilità) sulle persone a bordo.
Il porto sicuro viene individuato dal Maritime rescue coordination centre che ha responsabilità del coordinamento delle operazioni in mare. Per l’Italia questo ruolo è svolto sulla base di quanto stabilito D.P.R. n. 662 del 1994 dal Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto, quale centro nazionale di coordinamento di soccorso marittimo (I.M.R.C.C.), che assicura l’organizzazione generale dei servizi marittimi di ricerca e salvataggio, coordina le operazioni di ricerca e salvataggio nell’ambito dell’intera regione di interesse italiano sul mare e tiene contatti con i centri di coordinamento del soccorso degli altri Stati. In altre parole, è il Comando generale della Guardia costiera con base a Roma che riceve la richiesta d’aiuto che sceglierà il luogo dove portare i naufraghi una volta soccorsi in mare.
- La vicenda della nave Aquarius
La chiusura dei porti italiani alla nave Aquarius – per come la vicenda è stata ricostruita dai principali quotidiani – configura una serie di gravi illeciti che solo la tempestiva disponibilità fornita dalle autorità spagnole ha impedito fossero portati a compimento:
– Il fatto che il Centro nazionale di coordinamento di soccorso marittimo della Guardia Costiera di Roma (I.M.R.C.C.) abbia ricevuto la segnalazione di un’emergenza e assunto il coordinamento delle operazioni di soccorso impone – anche se l’emergenza si è sviluppata fuori dalla propria area di competenza SAR – alle autorità italiane di portare a compimento il salvataggio individuando il luogo sicuro di sbarco dei naufraghi. Una volta che le autorità di Malta hanno negato il loro consenso allo sbarco un porto di quello Stato, l’Italia non può negare lo sbarco in un proprio porto che diventa essenziale per completare le operazioni di salvataggio di cui si è assunta la responsabilità.
– Inoltre dei 629 naufraghi solo 224 sono stati salvati direttamente dalla nave Aquarius. Tutti gli altri sono stati recuperati da altre motonavi tra le quali – a quanto riferisce il quotidiano la Repubblica – vi era anche la motovedetta Cp 319 della Guardia costiera italiana che dopo aver tratto a bordo in salvo 70 migranti li ha trasferiti sulla Aquarius. Se così sono andati i fatti l’Italia aveva l’obbligo di sbarcare quei migranti (già entrati in territorio italiano rappresentato dalla motovedetta della Guardia costiera sulla quale sono saliti a bordo) in un porto italiano per garantire oltre che la conclusione delle operazioni di salvataggio la possibilità di esperire quelle procedure di protezione internazionale per i rifugiati e i richiedenti asilo imposte dalla nostra adesione alla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali.