Il Punto del Segretario

Pubblicato da il 27 Giugno 2021

Le imprese ripartono ma i lavoratori devono fare i conti con la precarietà.
A pagare di più ancora una volta donne e giovani.

La vera sorpresa di questa ripartenza dell’economia dopo la lunga seconda ondata Covid è la “scomparsa” dei lavoratori. Le imprese del turismo cercano, senza trovarli, camerieri, cuochi, lavapiatti, bagnini, animatori. Stando alla ricerca commissionata da Confindustria Veneto a Fondazione Nord Est, la stessa difficoltà ad incrociare profili adeguati si starebbe verificando anche nella meccanica, nella moda, nel legno-arredo, nella logistica, nelle costruzioni e nell’agroindustria.
Subito si è scatenata la polemica sul presunto “effetto-divano” che sarebbe stato indotto dal reddito di cittadinanza, ma quel poco di ricerca qualitativa su cui si riesce a mettere le mani racconta una storia ben diversa: quella di stagionali e lavoratori a termine, rimasti fuori almeno in parte dai circuiti degli ammortizzatori sociali a causa della natura precaria dei contratti di lavoro, che si sono reinventati in altri settori e non è detto che torneranno a fare quello che facevano prima della crisi.
E’ del resto quanto avevamo visto nelle nostre campagne durante il lockdown della primavera 2020, quando si era pensato di organizzare treni e aerei per riportare al lavoro la manodopera migrante dell’Est Europa, la quale però in buona misura aveva già cambiato Paese di destinazione perché attratti da paghe più alte, con aziende “nostrane” che non sono riuscite a raccogliere i prodotti per mancanza di manodopera. Un grido d’allarme del settore che era suonato anche prima dell’avvento della pandemia.
Non migliore sorte sembra destinata a incontrare la “chiamata alle armi” che il settore turistico, a partire dal lago di Garda, sta rivolgendo alla manodopera nostrana. Secondo Federalberghi a livello nazionale mancano almeno 200mila persone nel settore viaggi e ospitalità, pari ad un calo del 50-75%.
Vien dunque da chiedersi come un’economia ambiziosa e dai fondamentali forti come quella veronese, prima provincia italiana esportatrice di ortofrutta e vino e la quinta in fatto di presenze turistiche, possa continuare ad eccellere se continua a fondare il suo capitale umano su dei “lavoretti”.

Secondo un recentissimo rapporto nazionale della Fondazione Giuseppe Di Vittorio “gli occupati che vivono un drammatico problema di discontinuità lavorativa e/o di bassi salari, ammontano complessivamente a 4,7 milioni, composti da 2,7 milioni di occupati a tempo determinato (di cui 660 mila occupati con part-time involontario), da 1,7 milioni di occupati a tempo indeterminato con part-time involontario e da 381 mila occupati indipendenti con part-time involontario”. E questa cifra non tiene conto dei disoccupati, degli scoraggiati e della gran parte degli occupati in cassa integrazione guadagni.
Non è quindi essere massimalisti o “comunisti” chiedere di subordinare lo sblocco dei licenziamenti a riforme necessarie e di assoluto buon senso come quella degli ammortizzatori sociali in senso universalistico, come sta facendo il Ministro Orlando.
Ed anche addossare solo al reddito di cittadinanza (strumento comunque da rivedere) la mancata disponibilità per certi lavori è fuorviante perché il lavoro offerto in genere è poco attrattivo e scarsamente retribuito, perché precario e sfruttato, con contratti di lavoro nazionali che non vengono rispettati sia per la retribuzione che per l’orario di lavoro settimanale e il giorno di riposo.
Le imprese stanno ripartendo ma i lavoratori sono ancora al palo. Il sistema riparte se c’è lotta alla precarietà e al lavoro nero, diponibilità delle imprese ad applicare contratti regolari evitando il sommerso o l’elusione fiscale e previdenziale, rilancio degli investimenti pubblici, della formazione e della riqualificazione professionale per chi perde il lavoro. La sola formazione interna aziendale non sarà sufficiente a dare ai lavoratori le risorse necessarie per affrontare le sfide della nuova economia globale, che si giocherà su sostenibilità e digitalizzazione. Di qui la necessità di un ruolo attivo dello Stato e delle parti sociali per un rilancio forte ed equo e la costruzione condivisa di un nuovo modello improntato sulla sostenibilità, a partire dalla qualità del lavoro.

Maurizio Facincani, Segretario Provinciale