D’Arienzo – Riduzione dei parlamentari? No, taglio della democrazia!
Il Senato ha approvato la proposta di legge costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari. I deputati passerebbero da 630 a 400 ed i Senatori da 315 a 200.
Servono altri tre passaggi affinché la proposta diventi legge e, quindi, operativa.
Detta così, la proposta affascina, coglie un sentiment diffuso. Ma, nasconde ben altro: la riduzione della democrazia per perseguire l’idea di Casaleggio, quella di rendere il Parlamento insignificante e la democrazia esercitata attraverso un clic.
La contrarietà è certamente più faticosa e controcorrente, ma è frutto della consapevolezza, piena e convinta, che il disegno di smantellare le Istituzioni democratiche va respinto con forza.
Il disegno di legge in esame ha l’importante limite che non affronta la vera riforma che servirebbe per davvero, quella per superare il bicameralismo perfetto. Ne affronta, al contrario, una minima parte di esso, ovvero i numeri del Parlamento come se fosse questo l’ostacolo da superare per rendere più efficiente e veloce il sistema democratico delle decisioni.
Peraltro, come è noto, seppur presentata pomposamente come la panacea, la proposta non incide sulla configurazione del sistema elettorale del 2017 né sulle proporzioni interne di quel mix di maggioritario uninominale – valevole per l’assegnazione solo di una parte dei parlamentari – e proporzionale plurinominale, bensì solo sulla formulazione del criterio di determinazione dei collegi uninominali.
Quindi, per dirla in breve, il tanto vituperato “Rosatellum” sta più che bene, tanto che la maggioranza cambia solo i numeri che quel sistema produce. Emblematico!
La proposta è un artifizio legislativo per non perseguire le riforme che servono, e lo fanno partendo da un presupposto sbagliato e non adatto alla nostra democrazia.
Infatti, immaginare o addirittura pretendere, come fanno con questa proposta, che il loro criterio di determinazione del numero di parlamentari sia perennemente applicabile indipendentemente da quale sia quel numero fissato dalla Costituzione e, soprattutto, senza che si rendano necessarie modifiche ed aggiustamenti ulteriori della legge elettorale, è pura utopia, semplicemente perché ad ogni evoluzione del sistema politico deve corrispondere un adeguato sistema elettorale.
Prova ne sono gli ultimi anni della nostra vita politica.
Ad illuminare, inoltre, i limiti della loro proposta vi è anche il fatto che le circoscrizioni non vengono modificate, e ciò rafforza la mia convinzione sull’assoluta insufficienza del processo che hanno avviato.
E’ proprio la limitatezza della loro proposta, rispetto a tutto quello che ci sarebbe da fare, che mi fa sospettare che si tratti di un’idea che nulla ha a che vedere con quanto occorra per il bene del Paese.
E sono rafforzato nella convinzione per due ragioni:
sento parlare solo di soldi. La democrazia italiana delle decisioni è diventata un orpello e qualcuno non fa altro che blaterare sui risparmi che deriverebbero da un suo ridimensionamento;
il numero dei parlamentari italiani se paragonato a quello dei nostri vicini europei resta piuttosto basso. Se si ragiona con il criterio del rapporto con la popolazione, siamo oltre il ventesimo posto con la media di 63.644 abitanti per ogni parlamentare italiano rispetto alla media di 46.515 abitanti per ciascun parlamentare che si registra in Europa.
Il dibattito non è nuovo. Tante volte si è provato a cambiare quei numeri. Sette volte dal 1948 in poi, ma sempre dentro una cornice più articolata che comprendeva più aspetti del sistema istituzionale che l’avrebbero reso, però, anche mediante la riduzione del numero dei parlamentari, meno pesante e più confacente all’attualità.
Adesso ci si prova di nuovo e l’incipit non è una commissione bicamerale, un grande dibattito parlamentare, una corposa riforma costituzionale che ridisegna la democrazia.
No, la fonte è quello che chiamate “contratto di governo”, nella parte in cui si legge che: “Occorre partire dalla drastica riduzione del numero dei parlamentari: 400 deputati e 200 senatori. In tal modo, sarà più agevole organizzare i lavori delle Camere e diverrà più efficiente l’iter di approvazione delle leggi, senza intaccare in alcun modo il principio supremo della rappresentanza, poiché resterebbe ferma l’elezione diretta a suffragio universale da parte del popolo per entrambi i rami del Parlamento senza comprometterne le funzioni. Sarà in tal modo possibile conseguire anche ingenti riduzioni di spesa poiché il numero complessivo dei senatori e dei deputati risulterà quasi dimezzato”.
Come dicevo. Da quell’autorevolissima fonte di diritto e di vita, si ritiene che la velocità dei lavori e l’efficienza dell’iter di approvazione delle leggi dipenda dal numero dei parlamentari e non già dalla vigente, perfetta ripetizione dei meccanismi di confronto e di decisione.
Un’assurdità concettuale di partenza che fa deragliare tutta l’analisi successiva e, quindi, la scelta finale alla quale sono pervenuti.
Sui soldi non si impostano riforme, diversamente non sarebbero mai stati approvati provvedimenti mangiasoldi come il reddito di cittadinanza.
E che la proposta abbia il fiato corto di chi ha deciso con la calcolatrice lo si capisce benissimo nel momento in cui dovrà essere attuata: l’attuale numero di parlamentari, infatti, garantisce l’equilibrio della proporzionalità tra regioni grandi e piccole; un numero minore dei parlamentari porterebbe alcune regioni, quelle con meno abitanti, a vedere calare notevolmente la loro già ridotta rappresentanza parlamentare, portando forti contrasti all’interno del territorio nazionale.
E che dire del fatto che avremmo collegi elettorali giganteschi che producono due effetti distorsivi – e pericolosi – della democrazia della rappresentanza?
Il primo è il rapporto diretto tra candidati ed elettori. Sfido chiunque a dire che sarà possibile per l’elettorato attivo conoscere i candidati in campo per sceglierne il migliore;
il secondo, investe le pari opportunità tra candidati. Per fare una campagna elettorale decente servono risorse economiche. Più è grande il territorio e più servono soldi. In collegi elettorali simili chi ha più soldi vince. Quindi, la loro idea va a vantaggio di chi ha di più a scapito di chi ha meno risorse.
E sarà sempre peggio con l’aumentare della popolazione come avvenuto dal 2000 al 2017, anni in cui l’Italia è cresciuta da 49 a 51 milioni di elettori.
Rileva anche lo sbarramento implicito che questa proposta determinerà – a scapito delle formazioni minori – che al Senato potrebbe superare addirittura il 10%.
È giusto ricordare, a questo punto, che la volontà dell’originario legislatore costituente fu quella di fissare un rapporto diretto tra eletto e numero di elettori molto limitato nelle proporzioni e che anche la riforma del 1963 in sostanza confermò quella volontà.
Ma, allora, è una proposta slegata da una vera riforma istituzionale e costituzionale, deprime la rappresentanza dei territori più piccoli, avvantaggia i ricchi, non produce benefici in termini di efficienza nei lavori parlamentari, non migliora il rapporto elettori/eletti che è già buono, quale scopo intendono raggiungere?
Credo che la proposta sia semplicemente “un’arma di distrazione di massa”.
Riportare in auge la riduzione dei parlamentari in vista della prossima campagna elettorale per le elezioni europee, per distrarre gli italiani dai vostri miseri risultati economici, dalle reali portate di provvedimenti quali quota 100 e reddito di cittadinanza, dalla contrarietà agli investimenti infrastrutturali e dalle difficoltà che non riescono più a sostenere, è solo l’occasione migliore per cercare apprezzamento trasversale tra gli elettori.
E’ il solito argomento buono per tutte le stagioni. Lo è stato ieri e lo sarà domani, ma è solo la fetta di prosciutto che mettono sugli occhi dell’Italia. Nulla di più.
Chi pensa che il problema oggi sia quello di fare queste riformicchie sbaglia. Il tema centrale è: quale democrazia vogliamo per il futuro dell’Italia ed in che modo vogliamo che questa democrazia garantisca la governabilità! E questa sarà tanto più veloce ed efficiente quanto più e prima si supererà il bicameralismo perfetto, ma mantenendo saldamente i pilastri della democrazia rappresentativa.
La loro idea di toccare solo il numero dei parlamentari, viene in quel contesto, adesso è un’idea solitaria e non inserita nel complesso quadro delle riforme da fare. E questa corsa in solitaria mi fa ritenere che lo scopo sia un altro: demolire la democrazia rappresentativa e la massima espressione di questa, il Parlamento, il massimo luogo della rappresentanza del popolo italiano.
La crisi della rappresentanza, peraltro, coinvolge ampi settori della società italiana e sarebbe stato utile avviare un dibattito nazionale che comprendesse tutti questi aspetti.
Come scrivevo prima, tante altre volte sono stati avviati percorsi di riforma, mai di un pezzo e, pertanto, sono convinto che se si vuole andare avanti, sarebbe molto più efficace farla insieme alla trasformazione del sistema costituzionale vigente.
Certo, c’è stato un referendum, ma nulla toglie che l’argomento possa essere ripreso in un quadro più ampio di condivisione e con le modifiche che servono, anche perché è giusto tenere conto di quel voto.
Fuori dal tempo, abbiamo ancora due Camere che hanno gli stessi poteri con due sistemi elettorali diversi e due corpi elettorali diversi. La società è cambiata. Prima i risultati nelle due camere erano molto simili pur non essendo del tutto identici. Da alcuni anni non è più così.
L’offerta politica è diventata fluida e significativamente diversa nelle due Camere. In questo contesto l’uso di regole di voto maggioritarie tende ad amplificare ancora di più piccole differenze di voti facendole diventare grandi differenze di seggi.
E con ciò aumenta il rischio di un Parlamento con maggioranze risicate al Senato.
Anzi, date le condizioni politiche attuali, nessuna riduzione del numero dei parlamentari ci salva dal rischio che nuove elezioni non ci facciano ritrovare al punto in cui siamo stati nella precedente legislatura ed anche in questa. E qui si ripropone il tema della democrazia che decide più velocemente.
E’ inutile suscitare illusorie aspettative di governabilità con proposte come questa. La riduzione del numero dei parlamentari e la semplificazione del processo legislativo hanno un senso solo con una riforma di sistema che comprenda il superamento del bicameralismo perfetto.
Ogni altra strada è una inutile perdita di tempo.