Il fallimento della politica di Tosi
La politica ha il bisogno vitale di recuperare moralità, sobrietà, limpidezza, e di persone che sappiano garantire quelle qualità cardinali. Se ciò risponde al vero, è evidente che Tosi ed il “tosismo” sono arrivati al capolinea.
Più che sul sindaco di Verona e su quanti altri devono rispondere di eventuali reati, questione che in Italia dovremmo abituarci a lasciare alla magistratura, il punto su cui merita soffermarsi è semmai l’impronta politica che Tosi voleva pesantemente introdurre in città e non solo.
Il tosismo era ed è la rottura degli schemi tradizionali della dialettica politica: basta destra e sinistra, tutti insieme dietro al grande leader, modello di virtù e garanzia di trasparenza e buon governo. Era ed è la concretezza che si fa amministrazione, la fine delle chiacchiere dei vecchi politicanti e la promessa tangibile della realizzazione di opere sempre rimandate. Era ed è la critica alla politica clientelare, partitistica, familistica, tanto spendacciona quanto inconcludente.
Il tosismo, insomma, era la promessa di un salto di qualità ad una bella e ricca città che, d’un colpo, sotto la guida del suo vincente condottiero, avrebbe definitivamente dimenticato le nefandezze scoperchiate da tangentopoli e, a suo dire, il malgoverno di tutte le giunte che si erano succedute prima di lui.
Ed invece, eccoci ancora alle prese col malaffare, che ad onor di cronaca era scomparso all’epoca della giunta Zanotto, e soprattutto con la politica che promette e non fa. Perché dunque è accaduto ciò e, soprattutto, perché Tosi non si fa da parte?
Le due domande trovano risposta in un’unica affermazione: il potere in mano ad un leader solitario e carismatico, che annienta le culture politiche e le visioni di società, che si carica sulle spalle il destino di una città qualunque cosa accada, che si erge a modello di governo perfino per l’Italia, finisce inevitabilmente per perdere di vista i bisogni sia quotidiani che strategici della comunità che amministra, tende a circondarsi di consiglieri magari fedeli ma non buoni, non vede le disfunzioni nelle pieghe del suo operato e di quello dei suoi sodali, è costretto infine a ritenersi insostituibile.
Il punto quindi non è se e quanto Tosi sia coinvolto nelle amare vicende giudiziarie. Il punto è che è fallito il recupero dell’idea del sindaco-podestà, perché la città contemporanea ha bisogno di amministratori che non si distraggano con altre ambizioni politiche personali, perché a fianco di un leader devono sedere figure di provata esperienza, prestigio e trasparenza, perché dietro la macchina politica amministrativa devono esserci organizzazioni, associazioni, soggetti politici che verificano, pungolano, se serve pure denunciano.
Su questo dovrebbero riflettere i veronesi, gli ambienti economici e sociali, le istituzioni culturali e religiose, i mondi associativi e volontaristici di ogni genere che nella migliore tradizione cittadina sono sempre stati depositari non solo di idee, ma anche di civismo e di personalità.
Cercando di dare evidenza a quello che ancora oggi si tende a nascondere: primo, nella società del diritto politico, il vertice è sempre responsabile degli errori fatti, anche se da altri; secondo, quegli errori condizioneranno sempre l’autorevolezza del sindaco, e questo avrà una ricaduta negativa sulla città; terzo, per quanto apparentemente insostituibile, dopo Tosi non c’è il nulla.
Si può ripartire da buone idee non realizzate, dalla correzione rigorosa di errori sicuramente commessi prima dell’arrivo di Tosi, dal recupero di energie disperse che non hanno mai creduto nel tosismo, ma anche di soggetti che si erano fidati e che sicuramente oggi si stanno interrogando su una possibile alternativa.
Vanio Balzo
membro Direzione Provinciale PD