IL PUNTO DEL SEGRETARIO

Pubblicato da il 11 Giugno 2021

Salari, innovazione e nuove protezioni sociali.
Le ferite del Covid non si curano con la propaganda.

L’osservatorio regionale “Veneto Lavoro” ha registrato per il mese di maggio una netta ripresa dell’occupazione. Le assunzioni di lavoratori dipendenti sono infatti tornate a livello pre-covid. Le prime riaperture hanno ridato fiato a commercio e turismo, ma il lavoro è ripartito quasi esclusivamente nella componente dei contratti a termine. Inoltre, per territori fortemente terziarizzati come Verona e Venezia, la strada della ripresa sembra ancora più lunga: osservando i saldi provinciali dei primi cinque mesi dell’anno, gli analisti dell’agenzia regionale scrivono: “si mantiene significativa la flessione della domanda di lavoro rispetto al 2019, con punte del -47% nella provincia di Venezia e del -28% in quella di Verona. Variazioni più contenute a Padova (-19%), Vicenza (-18%), Treviso (-16%) e su valori minimi a Belluno (-8%) e Rovigo (-4%)”.
Un aspetto non di dettaglio riguarda l’incidenza di questi dati sul lavoro dei giovani: prevalentemente a loro sono offerti stage fasulli sottopagati o gratis, contratti iniqui, clausole vessatorie e sproporzionate nei contratti, paghe misere anche per laureati. E, fatto il confronto col resto dell’Europa, appare ovvio che chi può sceglie di andare all’estero. Così il nostro paese, dopo aver investito nella loro formazione, li perde.
Secondo una elaborazione svolta dalla Cgil Veneto su dati forniti dai Centri di assistenza fiscale (Caf) riguardanti un campione costante negli anni di più di 35 mila utenti, nel 2020 il 46% dei lavoratori ha accusato una riduzione di salario lordo di circa 3.500 euro, pari a circa due stipendi. Tenuto conto che durante l’anno della pandemia una minoranza del campione (il 29%) ha guadagnato di più che nel 2019, la media regionale parla di una riduzione media di reddito di circa 500 euro per ogni lavoratore.
Tra i lavoratori che hanno conosciuto una perdita di reddito, i veronesi sono quelli che hanno subito la perdita maggiore (3.505 euro, passando da 24.294 euro lordi del 2019 ai 20.789 euro lordi del 2020), subito dietro ai veneziani (3.847 euro). Grande ancora il divario tra uomini e donne: il reddito medio dei primi è di 23 mila euro annui, quello delle seconde di appena di 17 mila euro annui scarsi.
La partita delle riorganizzazioni aziendali e industriali non è nemmeno cominciata. Sarà dirimente, anche per il futuro del lavoro del territorio veronese, sapere se le imprese punteranno con decisione su innovazione tecnologica e riqualificazione professionale oppure se si limiteranno ad un mero giro di vite su condizioni di lavoro e salari già compressi dalla crisi.
Decisivo dovrà essere il ruolo regolatorio e di sostegno dello Stato che, con i nuovi ammortizzatori sociali annunciati per luglio, dovrà mettere in campo non strumenti passivi di mera assistenza ma strumenti in grado di dare anche più capacità di reimpiego alle persone che perdono il lavoro e più capacità di difenderlo a quelli che lavorano in una impresa che sta attraversando una trasformazione.
Ovvio che fermarsi a dire che con le riaperture e la vaccinazioni la politica abbia sostanzialmente esaurito il suo compito è una banalità insensata e miope.
Su questo tema la sciocca propaganda salviniana potrebbe forse dire che nessuno ha nulla da insegnare ai nostri imprenditori, ma la realtà dell’economia globale, ben più complessa degli slogan leghisti, ci dice invece che le decisioni si formano nell’ambito delle filiere internazionali del valore e che sono essenziali gli stimoli e gli indirizzi che le politiche dei governi nazionali e dell’Unione europea possono fornire a tali processi. Dunque digitalizzazione per innovare i processi; recupero salariale rinnovando i contratti collettivi scaduti da anni; politiche attive per il lavoro e nuovi ammortizzatori.
Senza mai dimenticare un impegno costante per eliminare la piaga delle morti sul lavoro!

Maurizio Facincani
Segretario Provinciale